Caterina, la Scuola e i suoi compagni

Caterina è la mia piccola amica con cui discuto ogni tanto di fondamenti dell’Astrofisica, come le distanze cosmiche ad esempio.

Bene, il primo giorno in cui qui in Veneto si è potuto di nuovo andare in bicicletta senza problemi, pur restando non troppo distanti da casa, era il 4 maggio scorso, Caterina ha chiesto alla mamma di andare a vedere la sua scuola. Era chiusa ovviamente, ma con il telefono, sempre di mamma, volle fare la sua prima foto nella vita. Tornata a casa la spedì a tutti i suoi compagni e compagne.

Non è una storia melensa e strappalacrime che racconto, ma lo faccio per riflettere e in fondo far vergognare tanti noi adulti. Mi ci metto per primo sia ben chiaro, anche se nell’insegnamento ho sempre cercato di dare testa, cuore e stomaco per 35 anni.

Quel senso di identità che Caterina ha voluto trasmettere ai suoi compagni, quella foto, per loro bellissima, dice tutto: questo è il nostro posto, qui noi cresciamo, qui ci ritroveremo, qui c’è la nostra gioia e qui le nostre prime vere difficoltà, ecco: quello deve farci un po’ vergognare, parlo per me.

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Le Scuole elementari in Italia sono magari bruttine come questa, ma belle dentro, colorate, chiassose ma allegre e non urlanti, i ragazzi e le ragazze sono curiosi, entusiasti, certo occorre far loro scoprire il mondo di fuori e quello che hanno dentro, far guadagnare la conoscenza. Non sto dipingendo il Paradiso terrestre, ma chi ha figli, nipoti lo sa: una bella scuola, un cortile, un insegnante disponibile e via: si parte all’avventura della conoscenza.

Poi dalle medie in avanti le scuole diventano sempre più grigie, tristi, inattuali. Chi va a votare si ritrova spesso negli stessi ambienti in cui ha passato un pezzo di vita, con gli stessi muri scrostati: nelle scuole, proprio gli edifici, non si investe decentemente da anni e basterebbe rimetterle in sesto per far ripartire l’economia, lo sappiamo tutti, ma non si vuole fare e poi bisognerebbe dare migliaia di contrattini ad altrettante imprese edilizie locali, di poche unità, che magari non chiuderebbero i battenti. Chi lo sa se questo sia gradito o meno a chi veramente comanda.

Ma quello che reclamano i ragazzi è la loro Scuola, dignità per loro, che dovranno lavorare come matti per ripagare i debiti accumulati negli ultimi 4 decenni, scuole decenti, esami che li mettano alla prova. Abbiamo tolto ogni ostacolo davanti ai nostri figli, nessun esame, una farsa alla fine delle scuole medie che sembra un gioco a quiz e un’altra farsa all’esame di maturità dove devono far finta di essere giornalisti, romanzieri, architetti.  Nulla deve turbare la nostra pace familiare fatta di week end liberi dai compiti e dai “castighi”.

Caterina e i suoi amici ci dicono che invece si vogliono cimentare, superare ostacoli ragionevoli per crescere, per non essere costretti ad andare a X factor per farsi dire bravo perché sono bravi o in qualche altra trasmissione a esclusione, che avrebbe fatto orrore anche allo stesso Hegel. Vogliono scoprire, provare, inventare, creare. Sbagliare e riprovare.

E invece abbiamo solo lamentato che ci sono pochi tablet, come se la conoscenza umana fosse dipesa sempre dalla tecnologia del momento, stupefatti esclamato che i ragazzi sono più lesti coi computer, magari e vero ma non ci capiscono molto, ci siamo messi la coscienza a posto perché in prima media hanno tanti libri, da portare col carrello, quanti ne legge il Dalai Lama in tutta la sua Santa vita. Ora, là dove si dovrebbe governare uno dei più grandi insiemi di insegnanti e studenti d’Europa, si è perfino inventato un film dell’orrore in cui ragazzi e ragazze vanno per metà a scuola e per metà a casa dietro a un computer, che a migliaia e migliaia manco hanno. Nonostante centinaia di Congressi e Commissioni sulla Scuola e l’on line ci siamo trovati tutti paracadutati in zona di guerra, senza bussola e con l’acqua finita nella borraccia. La tecnologia è oro, ma dietro deve avere una pedagogia cui nessuno ha mai pensato e che non è mai stata sviluppata e disseminata.

Nel regno del denaro come unico valore, guadagnato col narcotraffico o con il duro lavoro poco importa, abbiamo svilito la loro voglia e il loro diritto a imparare, abbiamo mortificato la professione di insegnante, la più nobile dopo quella di genitore fin dai tempi di Platone, li abbiamo mandati in scuole che cadono a pezzi, e qualche volta sono pure cadute.  Genitori, insegnanti, ministri: tutti abbiamo la nostra parte di colpa nel aver fatto arrivare le cose a questo punto.

Ci si salva solo tutti assieme, questo almeno lo abbiamo imparato stando coatti in casa, se tutti saranno convinti di dover cambiare e rinunciare al comodo di oggi per il risultato di domani forse si può fare. La conoscenza è fatica, altro che imparare giocando, come troppe volte si è contrabbandata l’ignoranza di chi stava in cattedra. Ma è anche gioia e passione.

Se si vuole ricostruire veramente il Paese la generazione dei quarantenni deve puntellare, ma è quella di Caterina e i suoi amici che lo rifaranno grande, come i nostri padri e nonni fecero dopo la II Guerra.

Non lasciamo ingiallire inutilmente quella fotografia di una scuola del centro di Padova, bruttina, chiusa ma tanto desiderata ed amata. Come 100.000 altre.